Teatro

Marina Spreafico racconta l’Arsenale

Marina Spreafico racconta l’Arsenale

Fino al 7 dicembre si può partecipare, più che assistere, a uno spettacolo realizzato per festeggiare i primi 30 anni del Teatro Arsenale, in via Cesare Correnti a Milano, inaugurato dalla sua fondatrice Marina Spreafico assieme a Kuniaki Ida nel lontano 1978. Il titolo dovrebbe chiarire il concetto: ‘Genius Loce- l’Arsenale dal passato al futuro, viaggio alla scoperta di un ombelico del mondo in due episodi:
eresia e santità - sogni e utopie’. Ma bisogna proprio andarci di persona per capire che il pubblico sarà letteralmente invitato a muoversi fuori, sopra, attorno e dentro l’edificio, un’antica chiesetta sconsacrata, accompagnati da personaggi improbabili ma evocativi, per scoprire la storia non solo della Milano di un tempo ma della sua architettura e urbanistica. Si
 parte dalle prime tracce celtiche al 1273, anno di costruzione dello stabile, lungo i secoli e fino ai giorni i nostri. Quello che ora è il Teatro Arsenale è stato un crocevia di religiosità mistica ed eresia, un polo affaristico, una culla del più tradizionale teatro milanese, un deposito di sogni e utopie e altro ancora. Gli studi sull’argomento hanno portato a definire quattro utilizzazioni di questo medesimo spazio, nel tempo: per il culto femminile, come teatro, come luogo di educazione e per commerci economici. Alla base, forti utopie e desiderio di libertà. Ne parlo con Marina Spreafico, protagonista e ideatrice dello spettacolo, . Perché hai voluto festeggiare così i 30 anni? Genius Loci significa l’anima nascosta e, dopo 30 anni di lavoro e, dopo tante fatiche e soddisfazioni, io e altri due laureandi in architettura abbiamo deciso di fare una ricerca storico-architettonica su questo teatro, chiamato Arsenale negli anni ‘70 da un gruppo di giovani, il comitato Vietnam Libero. Ma la storia è lunghissima e appassionante… Hai scoperto cose nuove? Tutto! Io non sapevo niente. E’ interessante scoprire cose, specie queste continue ripetizioni, gli eventi ricorrenti come la chiesa eretica, oppure il collegio educativo. Cose che si ripetono, sempre nei quattro generi che abbiamo identificato nel corso dei secoli. Quasi incredibile! A te che sensazione ti da? Una stranissima sensazione di fiducia, che le cose, nonostante tutti i guai, possano sempre risolversi. Ma grazie al luogo, come fosse una potenza. Ogni volta che entro lo sento: il posto è forte. Sei soddisfatta del teatro e della scuola che vi hai creato? Sono orgogliosa di aver cresciuto tanti studenti, molti dei quali hanno trovato la loro strada. Più degli spettacoli, che è il mio modo di comunicare, metto sul banco dei valori la scuola: sono più felice di quello che ho fatto per gli altri. Ti riferisci a qualcuno in particolare? Non voglio fare nomi poiché la fama non corrisponde necessariamente alla qualità. Alcuni sono rimasti nell’ombra ma possiedono grandi valori. Come ti ricordi i tempi dello sfratto? Chi vi ha aiutati? Durante lo sfratto, tutti. E molti fra quelli che ci hanno aiutato non sono conosciuti. Ad esempio. Giorgio Strehler volle intercedere per noi dopo aver saputo della nostra situazione da Jacques Lecoq, che lo aveva saputo a Parigi da amici comuni. Quale sarà il tuo prossimo spettacolo, finiti i festeggiamenti? Il prossimo è dedicato a Samuel Beckett, con una raccolta dei suoi pezzi. Perché reciti solo da mercoledì a domenica? Lavoro moltissimo, faccio ricerche, ho la scuola che dura 4 ore e mezza ogni giorno e devo anche ricaricarmi. Questo mi fa sospettare una curiosa risposta alla domanda: com’è la tua vita privata? (ride) Io non ho mai capito cos’è la ‘vita privata’… Ma da sempre, fin da quando avevo 23 anni, non riesco a scindermi, non sono capace di avere due vite. Sono tutta qui, in teatro, per il teatro. Ma se ti domandi se mi mancano dei figli la risposta è no, non sono portata per la famiglia. Mai avuto quel dono. Nessun rimpianto? Nessuna mancanza proprio. Il lavoro viene prima e riempie la mia esistenza, insieme ai colleghi, a Kuniaki, ai musicisti, le attrici, tutti gli altri con cui vivo. Come vedi il futuro? Vorrei che nel 2100 recitassimo per gli extraterrestri…